C’è una vecchia storiella. Il vecchio Chuang-Tzu amava passare il tempo immerso nella natura: osservava corvi e pesci, parlava con gli sconosciuti e sognava di essere una farfalla, sino a dimenticarsi se fosse Chuang-Tzu che sognava di essere una farfalla o una farfalla che sognava di essere Chuang-Tzu. Un giorno il re chiese a Chuang-Tzu di disegnare un granchio per lui. Chuang-Tzu rispose che per farlo aveva bisogno di cinque anni di tempo e una grande casa con tanto di servitù. Il re acconsentì, ma quando passarono i cinque anni Chuang-Tzu disse: “Me ne servono altri cinque”. Il re acconsentì di nuovo. Passati altri cinque anni, Chuang-Tzu prese in mano il pennello e, con un solo gesto, tracciò il più bel dipinto di un granchio che fosse mai stato fatto.
C’è una seconda storiella. È meno antica della prima. Parla di un ragazzo di nome John. Dopo la scuola, John si iscrisse all’università per studiare lettere. A John quell’ambiente non faceva impazzire: era un aspirante scrittore a caccia di storie – ma mentre il resto del Paese tentava di riprendersi dallo sforzo bellico della Grande Guerra, stare all’università coi coetanei non era il luogo migliore per trovare delle storie vere. John sentiva che là fuori, fra la gente che lavorava e si spaccava la schiena nei campi, c’era il sogno di un futuro diverso. Gente che per pochi spicci si abbassava a fare di tutto, in cerca di una piccola arcadia privata - non una arcadia fatta di silicio, per quella ci vorrà ancora un po’: una di quelle fatte di terra da coltivare, assi di legno, carri da traino, odore di sterco. E mentre a est si faceva la fame, nell’ovest del Paese la gente cominciava ad abituarsi a un altro modo di vivere, fatto di veicoli a motore per spostarsi più velocemente, stelle del cinema, feste di gran lusso. A John non interessava il titolo in lettere, a lui importava solo degli esclusi e delle loro storie; dei bifolchi che non sanno coniugare un verbo e che vivono tutti sotto lo stesso tetto, chiamandosi al grido di Pa’ e Ma’; delle loro sputacchiere, del tabacco da masticare che immarcisce i denti e dell’odore di campi incendiati. Abbandonò gli studi e si mise a scrivere le storie di queste persone, le storie degli ultimi della classe. Molti anni dopo, senza che nessuno glielo avesse chiesto John prese carta e penna, e in un centinaio di giorni di lavoro appena scrisse una storia di gente miserabile, che decise di chiamare con un titolo che per noi suonerebbe qualcosa come I grappoli dell’ira. Un centinaio di giorni di lavoro appena per buttare giù seicento pagine di manoscritto e fare pure la seconda bozza; cento giorni per i quali, però, John ha dovuto accumulare quindici anni di fardelli, personali e altrui.
C’è una terza storia. La storia di Vincent. A ventotto anni, Vincent si appassiona alla pittura: sino a quel momento non ha mai tenuto in mano un pennello, ma adesso si convince che dipingere è l’unico modo di restituire a se stesso il senso di un’esistenza fino a quel punto condannata. Lo fa anche per un’altra ragione: anche a Vincent piace ritrarre gli ultimi della classe, quelli che non sanno nemmeno che esista la possibilità di una vita migliore. Scrive a suo fratello una lettera in cui rivela di essere attratto da un gruppo di coltivatori di patate. “Chissà se riuscirò a fare qualcosa di buono su questo soggetto”, si chiede. Ma ancora non è in grado neppure a disegnare. Ci vorranno tre anni prima che Vincent scriva di nuovo al fratello a tal proposito, tre anni durante i quali non ha smesso di pensare a quei coltivatori. Gli manda un’altra lettera, in cui è contenuto uno sketch del dipinto che ha in mente:
Poi procede a farne una prima versione:
Ma non è ancora convinto. Ci riprova ancora e ancora. Sa che da qualche parte c’è l’idea giusta, ma realizzarla gli sembra impossibile. Là fuori, il mondo corre. Lui però non lo fa, non he ha motivo: ci ha messo trent’anni per capire la ragione per cui è venuto al mondo, perché dovrebbe farsi prendere dalla fretta proprio ora? In Francia i pittori stanno inventando un nuovo modo di fare, dipingono en plein air come si dice adesso, all’aria aperta; si fanno catturare dalle impressioni di ciò che vedono e lo buttano giù. Vincent invece sta ancora studiando. Per il suo dipinto sui contadini continua a fare e rifare lo studio preparatorio, alla vecchia maniera. Il mondo guarda in avanti, ma lui preferisce dare adito a un modo di fare già morto. È il destino beffardo di chi sente il traino del passato, chi si sente arrivato fuori tempo massimo – ma che colpa ne può avere? Cos’è maggiore, il senso di disillusione per essere nato nel luogo e nel momento che ritieni sbagliato o quello di gratitudine per aver finalmente dato un nome alle tue inclinazioni di essere umano? E poi i pittori di Parigi non gli stanno simpatici, come lui non sta simpatico a loro. I “colleghi” lo trovano scorbutico e incazzato. Come scorbutiche e incazzate sono le sue pennellate e le lettere al fratello, che però chiude sempre con una nota dolce, firmandosi "tuo affezionato”. Tutti gli passano davanti, e il senso di essere in ritardo è sempre più forte.
Alla fine, dopo più di tre anni, si sente soddisfatto per la prima volta nella vita di qualcosa che ha fatto:
È il primo, vero frutto delle sue mani. La prima cosa nella quale si riconosce per davvero. Proprio come quei mangiatori di patate che, in base a quanto scrive a suo fratello, hanno una dignità impareggiabile. Hanno coltivato quelle patate, hanno atteso pazientemente che crescessero e adesso le gustano tutti assieme. A Vincent forse piacerebbe di più essere fra loro, fra quelle facce truci e dall'anatomia sghemba dentro il suo quadro, che esserne l’autore.
Cinque anni più cinque per un tratto di pennello, cento giorni e quindici anni per un romanzo, più di trent’anni per un dipinto. Chi l’ha scritto l’almanacco della creatività? Nessuno probabilmente, ma il sottotitolo è chiaro: ci vuole il tempo che ci vuole.
PIANTE MIRMECOFILE
La mirmecofilia è il rapporto di simbiosi fra piante e animali con le formiche. È una di quelle situazioni in cui ci guadagnano entrambe le parti. Le piante mirmecofile si fanno aiutare dalle formiche a rimanere pulite e protette da agenti esterni, e in cambio esse gli forniscono una casa e del cibo. Qualcuno ama definire il rapporto fra creatività e autore come un rapporto mirmecofilo. L’autore prende in prestito dal mondo, e in cambio restituisce qualcosa di suo, di inedito.
Secondo chi se ne occupa, la mirmecofilia è alla base del successo biologico delle formiche. Sapere come sfruttare e come farsi sfruttare. L’autore, come la formica, sfrutta una porzione di mondo e poi vi si mette al servizio con la sua opera. Milioni e miliardi di formiche sempre all’opera, milioni e miliardi di autori. E a vincere è la specie. A meno fino a quando non ci saranno troppe formiche e troppi pochi alberi.
GRACIDARE
C’è, infine, un’ultima storia. È la storia di un mondo pieno zeppo di Vincent, John e Chuang-Tzu; così pieno di gente creativa, in effetti, che riuscire a capire chi sia davvero bravo diventa difficile, e così i Vincent, i John e i Chuang-Tzu cominciano a sfidarsi su un altro terreno: non più soltanto quello della creatività, ma del tempo. Essere davvero bravi non basta più, la competizione è troppa. Devi esserlo ripetutamente, su tutti i fronti. Devi dipingere un Mangiatori di patate a settimana, scrivere un Furore all’anno, e se per disegnare un granchio basta un tratto di pennello, allora me ne dia dodicimila, per favore. Se non lo fai, vai fuori dal giro. Peggio ancora, non sei un vero creativo: creatività non è l’avere qualcosa da dire ma dire qualcosa, qualunque cosa. Ma si può davvero dipingere un Mangiatori di patate a settimana? Poco importa, noi gli faremo credere di sì. A loro importa solo la tua versione.
Dacci la tua versione, per favore. Sei un creatore? Allora crea. Creatore e creatività hanno la stessa radice, giusto? E dunque crea. Crea! Crea crea crea crea crea creacreacreacreacreacrea cra cra cra cra cracracracracracracracracracra-
Non fermarti mai. Ho bisogno di quel rumore, del tuo rumore. Di quel cra di sottofondo. Se per qualcuno la domanda fondamentale era chiedersi Quale sarà il tuo verso?, ecco la risposta: è un gracidare di sottofondo. Non devo per forza ascoltarlo, mi basta che ci sia. E per favore, dimmi anche quando: dimmi a che ora della settimana sarà, quante volte potrò ascoltarlo, quanto dureranno i tuoi cra: misuriamoci i cra, ti va? Mostrami la tua schedule, dimmi con chi sarai, così posso esserci anche io. Per favore, dimmi quando sarai creativo. Dimmi quando quando quando, l’anno il giorno e l’ora in cui, forse tu rilascerai.
A questo punto più che una mirmecofilia, servirebbe una mirmecofuga.