“Sei invecchiato bene: sei uguale!”.
Ha usato la parola proibita. Invecchiare. Non gliene faccio una colpa, si tratta di un semplice problema di linguaggio. A rifletterci, che altra espressione avrebbe potuto usare per confrontare la mia fototessera col mio vero aspetto? Sei rimasto uguale? Sei giovane allo stesso modo? Poco importa, il succo non cambia. Il tempo scorre solo in quella direzione, e le lingue si sono dovute adattare: sarà anche facile vendere libri di poesia, ma provate voi a litigare in versi. Gli inglesi, almeno, hanno il buon senso di chiedertelo senza mezzi termini: non quanti anni hai, ma quanto sei vecchio. Anche se hai solo quattro anni. L’italiano invece è più subdolo sull’età: tutti ne hanno una, ma solo alcuni sono vecchi. Non ti abituano da bambino a percepirti come old, come fanno gli inglesi. E così, quando inizi a renderti conto che prima o poi (poco importa se a quaranta o a settant’anni) passerai anche tu dall’altra parte della barricata, ogni volta che senti quella parola è come il titinno del rubinetto che perde nel cuore della notte: vorresti alzarti e andare a chiuderlo meglio per far cessare il rumore, ma poi ti ricordi che il problema non è la manopola poco stretta ma i tubi, e non importa quanto stringi, lui continuerà a perdere.
A ogni modo preferisco vedere il lato positivo: quando la funzionaria mi ha chiesto quale delle due fototessere che le ho portato volevo venisse usata per il rinnovo della patente, le ho mostrato la più recente. “Questa è di un anno fa” le ho detto. Bugia. In realtà è di due anni fa.
“Ah cavolo, questa non va bene”.
“Come mai?” le ho chiesto, con la paura di essere stato sgamato.
“Perché è la stessa che c’è sulla carta d’identità. Guarda. Purtroppo non si può usare la stessa fototessera su più documenti ufficiali. E la foto non deve avere più di sei mesi”.
“Ma la mia ha un annetto, va bene lo stesso?”.
L’addetta ha preso la prima fototessera, la più recente, e l’ha confrontata a me: “Sì sì, non c’è problema, ma il fatto è che si tratta della stessa foto che c’è sulla carta d’identità”.
Ero pronto all’evenienza che per qualche ragione una delle fototessere non andasse bene, e così gli ho porto la seconda: “Al massimo ho anche questa, ma avrà un paio d’anni… non so se va bene lo stesso”.
È lì che lei ha preso questa seconda fototessera e ha detto la frase che ho riportato all’inizio: “Sei invecchiato bene: sei uguale!”.
Oh, ho pensato, non male.
Piccolo dettaglio: anche quella era una bugia. La fototessera non risaliva a due anni fa, ma a sette. E questo, lo ammetto, mi ha un poco rincuorato: non male, sono uguale a sette anni fa!
“Quindi va bene questa?”, le ho chiesto per conferma.
“Sì sì, benissimo”.
Il fatto di apparire, ai suoi occhi, uguale a quando avevo ventuno anni – cosa assolutamente non vera dal mio punto di vista, ci tengo a precisarlo – mi ha un po’ ringalluzzito, e così ho deciso di ravvivare la conversazione facendole qualche domanda. Avete presente quando fate una domanda a una persona, ma lei non la intende benissimo, e così risponde a tutt’altro, ma a quel punto voi vi sentite in imbarazzo nel farle notare che in realtà le avevate chiesto un’altra cosa, e così vi tocca beccarvi tutta la risposta a una questione che non avevate posto? Nella peggiore delle ipotesi vi siete sorbiti una spiegazione inutile e triviale, nella migliore, però, può scattare una forma di serendipità. E per fortuna è quello che è successo.
Tutto fiero per il fatto di sembrarle “invecchiato bene”, le ho chiesto perché non si possa usare una stessa fototessera per due documenti ufficiali diversi; lei, però, capisce un’altra cosa, e cioè che non mi sia chiaro come mai non si possa usare una foto più vecchia di sei mesi per il rinnovo di un documento.
“Oh vedi, il punto è che tante persone si presentano qui a rinnovare la patente con foto di quando avevano diciotto anni, mentre loro ne hanno cinquanta o sessanta. Spesso sono irriconoscibili, e così non possiamo rinnovare il documento. Ma nel tuo caso non è un problema, anche se la foto è di due (sette, n.d.A.) anni fa: sei ancora giovane, e sei rimasto uguale”.
È quest’ultima osservazione che mi ha colpito. Sono ancora giovane, e sono rimasto uguale. Ripeto che non è vero: rispetto a sette anni fa ho meno capelli e – cosa incredibile ma vera – più brufoli. Ma fino a quando sarà così? Qual è il limite? La prossima volta che sarò in procinto di rinnovare la patente, tra dieci anni, avrò su un documento ufficiale una foto di quando ne avevo ventuno. E io ne avrò trentotto. Sarò “ancora giovane”? Sarò “rimasto uguale”? Dubito, a giudicare dalla foto di quando avevo diciotto anni sulla vecchia patente: per curiosità sono andato a rivederla, ed ero irriconoscibile. Ma dove sta la linea? E soprattutto, questa linea esiste davvero? C’è un prima e un dopo così netto?
Forse è come diceva Marc Augé, dopo essersi reso conto per la prima volta, quando qualcuno in metro si è alzato per cedergli il posto a sedere, che la vecchiaia non esiste, che è un’idea scandita dagli altri. Lui allora non si sentiva vecchio – perché diavolo devi cedermi il posto? avrà pensato – ma qualcuno sulla metro, di trenta o quarant’anni più giovane di lui, deve averlo percepito come tale. E forse allora, è giusto dire che non esiste neppure la gioventù: è stata l’addetta a definirmi “ancora giovane”, ma lo sono davvero? Dove ho tracciato quella linea? Sempre che io lo abbia fatto.
Non posso che ripensare al paradosso della nave di Teseo. L’ho sentito per la prima volta dodici o tredici anni fa, e da allora non faccio che ripensarci. Per quanto mi riguarda, è uno dei modi più banali eppure più efficaci di pensare al concetto di identità.
Eccovelo proposto brevemente: la nave di Teseo, forgiata dalle gesta del mitico eroe, comincia ad avere bisogno di una revisione: il tempo passa, e così si rende necessario sostituirne una trave malandata. Trascorre altro tempo, e anche il bompresso si logora e viene sostituito. Poi tocca alle vele, al cordame e così via, sino a che ogni singolo componente della nave è stato sostituito rispetto all’originale con la quale salpò Teseo per la prima volta. La domanda è allora: si tratta ancora della stessa nave? Nessuno, alla sostituzione della prima trave, avrebbe dubitato che si trattasse della stessa identica nave di Teseo, alla quale era stata apportata giusto una lieve modifica, un regolare intervento di manutenzione; ma ora che tutti i pezzi sono stati sostituiti, è ancora la stessa nave? Dove si traccia la linea per stabilirlo?
Il nostro corpo funziona alla stessa maniera, cambia al punto tale che a volte può diventare irriconoscibile. Dove traccerò questa linea? O magari dovrei chiedermi quando e se questo accadrà. Forse ha di nuovo ragione Augé a dire che si muore sempre giovani, ma è troppo facile per non pensare che a un certo punto le travi vadano sostituite, e poi le vele e le corde e via dicendo. Il mondo per queste cose ha regole ben precise: entro data X dovresti aver fatto cosa X, ed entro data Y dovresti aver fatto cosa Y. Traccia la linea dove e quando ritiene che sia giusto, e ciò che sta dall’altra parte semplicemente farebbe meglio a travalicarla, la linea, e a mettersi dal lato corretto. C’è solo un problema: spostarsi nell’area successiva è più semplice, mentre ritornare a quella precedente è parecchio complesso.
“E poi, molti usano foto vecchie, e magari le stesse su più documenti, facendo un gran casino”.
“Sì, infatti più che altro mi interessava la questione della stessa foto su due documenti. Mi incuriosiva perché non si potesse fare”, le ho risposto.
“Come?”.
Ma c’è un lato positivo: le cicatrici non si cancellano, e io ho molti più brufoli di quanti ne avessi dieci anni fa. Alcuni di loro l’hanno pure lasciata, qualche cicatrice. Me le tengo strette, almeno avrò qualcosa da raccontare. Quando, a ottant’anni, qualcuno mi dirà ancora che sono invecchiato bene.