Un anno fa, di questi tempi, pubblicavo qui su Substack la lista dei lungometraggi visti durante il 2022. Quest’anno vorrei fare una cosa diversa: con tanto sprezzo nei confronti delle distinzioni tra mezzi espressivi, fare una bella lista che comprenda alcune delle opere giocate/lette/viste più interessanti del mio 2023. Questo significa che in elenco non finiscono solo le opere uscite durante l’ultimo anno, ma quelle da me giocate/lette/viste. Una sorta di best of personale, in cui non rientra tutto ma soltanto una piccola selezione fatta randomicamente (e perché non ho voglia di fare un elenco troppo lungo).
Nessun limite numerico: nel momento in cui scrivo non so neanche quante saranno, se cinque o quaranta. E siccome i numeri in questi casi sono un arbitrio culturale di cui è opportuno disfarsi, nella lista comparirà il numero di opere che riterrò opportune. Ultima nota: non si tratta di una top, ma di un elenco in ordine sparso.
1. Furari (2010), scritto e disegnato da Jirō Taniguchi
Ci ho scritto un articolo. Rimando a quello.
2. Pensieri lenti e veloci (2011), scritto da Daniel Kahneman
Il libro dei bias e delle euristiche, vale a dire di come noi esseri umani crediamo di essere bravi in due cose che facciamo da sempre, senza renderci conto di quanto invece ci trovino impreparati e inadatti: esprimere giudizi e fare previsioni.
Era nella lista da anni. Finalmente, con colpevole ritardo, sono riuscito a recuperarlo.
3. Helgoland (2020), scritto da Carlo Rovelli
Il divertissement di Carlo Rovelli sulla meccanica quantistica. Feynman diceva che nessuno capisce i quanti, salvo poi essere uno di quelli che i quanti li aveva capiti meglio di chiunque. Io, che sono tutto fuorché un esperto di fisica, mi limito a giudicare il libro per quello che è: un piacevole excursus su una delle teorie più importanti della nostra storia.
4. Logica della scoperta scientifica (1934), scritto da Karl Popper
Solo studiato, non lo avevo mai davvero letto per studiarlo. E che lettura importante è stata, soprattutto perché a tenere insieme le idee di Popper è un ragionamento pulito in cui a farla da padrone è il legame logico tra idea e idea.
5. The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom (2023), diretto da Hidemaro Fujibayashi
L’idea alla base di Tears of the Kingdom è semplice: ogni punto geografico è un possibile contenitore di significato. Ma se si dice che ogni punto geografico (ovvero, nel linguaggio dei videogiochi, ogni pixel) ha un significato potenziale, allora si dice che per attivare quel significato è necessario poter interagire con il punto in questione in maniera unica e sempre nuova. Ed è quello che accade in questo Zelda.
A distinguerlo dal suo predecessore è la misura dell’interagibilità. In Breath of the Wild più rimessa al mondo di gioco, in Tears of the Kingdom più rimessa al giocatore.
6. Portal (2007), design di Kim Swift
Quasi impossibile dire cosa sia Portal, di conseguenza mi limiterò a dire cosa accade nella prima scena del gioco, subito dopo aver preso in mano il pad e aver avuto accesso al controllo del nostro avatar: noi vediamo il nostro corpo. Non è il riflesso in uno specchio, è davvero il nostro corpo.
7. La montagna incantata (1924), scritto da Thomas Mann
Pochi autori nella storia della letteratura hanno avuto la prosa di Thomas Mann. Non leggo il tedesco, quindi la mia è una spacconata che si basa sulle abilità di traduzione di Ervinio Pocar, che aveva un senso del ritmo e della musicalità fuori dal comune.
8. Portugal (2017), scritto e disegnato da Cyril Pedrosa
Questo è il Portogallo disegnato da Pedrosa:
E questo è il Portogallo fotografato da me un mese fa:
Pedrosa ha capito i colori del Portogallo, vale a dire ha capito il suo spirito.
9. Il sapore della ciliegia (1997), diretto da Abbas Kiarostami
Kiarostami aveva capito perché le persone fanno quello che fanno.
10. Il fascismo eterno (1995), scritto da Umberto Eco
Brevi consigli pratici per rimanere mentalmente lucidi.
11. Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty
Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty è quando i videogiochi sono diventati maggiorenni.
12. L’impero dei segni (1970), scritto da Roland Barthes
Il diario di un viaggiatore che tenta di rispondere alla domanda: perché il Giappone?
13. Grim Fandango (1998), design di Tim Schafer
Lo sto giocando adesso, di conseguenza è ancora presto per esprimersi. Per ora mettiamola così: è un noir con la verve dei fratelli Coen, il gusto nei dialoghi di Billy Wilder e con un protagonista a metà fra Kafka e James Bond.
14. Kwaidan (1964), diretto da Masaki Kobayashi
Spiriti giapponesi che si fanno beffe degli uomini, vale a dire di quelle creature che pensano di sapere ciò che fanno ma che invece, nel fare quel che fanno, finiscono per vedere infrante le proprie illusioni. E se anche gli dei giocano sporco, l’unico modo è provare a rispondere per le rime.
15. Ombre giapponesi, di Lafcadio Hearn
La raccolta di racconti da cui è tratto lo stesso Kwaidan di Kobayashi. Non li ho ancora letti tutti, mea culpa. Si potrebbe dire che se Barthes era chi poneva la domanda “Perché il Giappone?”, Hearn era colui che rispondeva “Non lo sa nessuno.”
16. I filosofi e le macchine 1400-1700 (1962), scritto da Paolo Rossi
Paolo Rossi è stato un grandissimo storico della scienza, ma di questo libro, più che la ricostruzione storica, è fondamentale l'intuizione: l’artigiano è intelligente tanto quanto l’accademico; anzi, forse anche di più, e per una ragione molto banale: a differenza dell’accademico — che passa la vita a creare sistemi —, il fabbro, il maniscalco, il pittore e il calzolaio vivono con le mani in pasta. Toccano il mondo vero, e basano il proprio lavoro su un costante meccanismo di trial and error, che è l'unico modo in cui si migliora davvero in qualcosa. È la ragione per cui i laureati in ingegneria sono quelli col tasso di occupazione più alto.
17. Andrej Rublëv (1966), diretto da Andrej Tarkovskij
La sequenza della campana è una delle più belle che siano mai state girate.
18. Decision to Leave (2022), diretto da Park Chan-wook
Di una bellezza clamorosa. È Park Chan-wook che gioca a fare il suo Vertigo. Non esagero quando dico che sia uno dei film formalmente più belli a cui riesco a pensare. Una regia ispirata come poche, a ogni piè sospinto una trovata di messa in scena azzeccata e a suo modo unica. E non da meno, Park usa il digitale con più consapevolezza di un Cameron, un Boyle o un Blomkamp. Un peccato che sia passato in sordina.
Fine.
Tante opere da recuperare, grazie!
L'ho fatto anch'io, ma esce il primo gennaio. C'è sempre una settimana di sorprese. (Buon Natale).